Stop della cassazione al processo Regeni. I genitori: “Una ferita per tutti gli italiani”

Forse, e per sempre, il processo contro i quattro 007 egiziani accusati della morte, del sequestro e della tortura del giovane ricercatore Giulio Regeni, ucciso in Egitto nel febbraio del 2016, rischia di bloccarsi in maniera definitiva. Dopo le molte battaglie dei genitori di Giulio, che in questi anni hanno tentato di andare oltre i blocchi burocratici e le tante non volontà egiziane di proseguire le indagini su questo caso, ieri i giudici della cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma contro la decisione del gup dell’11 aprile scorso che aveva disposto, così come fatto dalla Corte d’Assise, la sospensione del procedimento disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti. 

“Attendiamo di leggere le motivazioni, ma riteniamo questa decisione una ferita di giustizia per tutti gli italiani”, hanno dichiarato i genitori di Giulio, Paola e Claudia Regeni, assistiti dalla loro instancabile legale Alessandra Ballerini. “Abnorme è certamente tutto il male che è stato inferto e che stanno continuando a infliggere a Giulio. Come cittadini non possiamo accettare né consentire l’impunità per chi tortura e uccide”. 

Con questa decisione, infatti, si riducono i margini, i base alla sentenza, di poter celebrare un processo in Italia sul caso Regeni. Giulio fu trovato il 3 febbraio del 2016 nei pressi di una strada che collega il Cairo ad Alessandria. Nelle prime settimane tante sono state le finte piste che si sono susseguite: si parlò di incidente stradale, di rapina, poi ucciso perché una spia, poi perché all’interno di giri di droga, festini gay e malaffare. 

Dalle indagini italiane, invece, il quadrò fu sin dall’inizio molto chiaro: il ricercatore italiano era stato controllato e sorvegliato dalla polizia nei giorni precedenti al suo rapimento. Il motivo di quell’attenzione erano sicuramente le sue ricerche. Infatti, secondo le indagini di piazzale Clodio, Claudio è stato torturato e ucciso dopo essere stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi.

Dopo sei anni e mezzo dall’omicidio, però, questa decisione è una frenata brusca sul raggiungimento di un primo (e minimo) tassello di giustizia. 

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