LA TOMBA VUOTA E I SEGNI DEBOLI DELLA VITA
di Michele Illiceto
Della tomba vuota ciò che fa più paura è proprio il vuoto. Un vuoto che interroga, che si fa domanda: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo” (Gv 20,15).
Un vuoto che a prima vista pare possa lasciare orfani. Un vuoto di orfananza. Un vuoto che a prima vista genera smarrimento e sconcerto: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” ()
Invece è un vuoto che provoca i discepoli a uscire dal Cenacolo. Un vuoto che mette in camino, anzi che provoca una corsa. Infatti, corre Maria dai discepoli, corrono Pietro e Giovanni: “Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due” (Gv 20,3-4).
Un vuoto puntellato di segni: i teli, il sudario, la pietra rotolata, i ricordi che si affastellano nella mente. Un vuoto sì, ma non di segni.
Allora non è un vuoto “vuoto”, ma un vuoto “pieno. Un vuoto che rimanda a una diversa forma di presenza. La presenza dell’assente.
Un vuoto da interpretare e da decifrare. Al sepolcro va di scena il primo atto ermeneutico dell’era cristiana. Come interpretare quel vuoto? Quale senso dargli? La partita si gioca tutta qui.
In un primo tempo, i discepoli sembra preferissero un sepolcro con un morto dentro, tuttavia pieno, con certezze assodate, piuttosto che un sepolcro vuoto, ricco di incognite e con un Vivente che per ora è sfuggente, il quale più che rispose suscita ulteriori domande.
Qui non vi è nulla da possedere. Neanche un corpo da profumare, accarezzare, venerare, amare. La fede non è possesso, ma continuo esodo. Esposizione a un Dio che ti sorprende.
Il sepolcro vuoto è un luogo incerto, dove Dio demolisce le nostre aspettative, i nostri schemi. Un’incertezza che chiede un atto di fede supplementare. Un salto: “Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa” (Gv 20, 9-10).
Credono e non capiscono. Ecco il salto! Ma non sono ancora pronti. Ed è per questo che se ne tornano a casa. Forse un poco delusi. Sono come i due discepoli di Emmaus che delusi, e col volto triste, fanno ritorno anch’essi a casa, alle cose di prima (Lc 24,13-53).
Ma quella corsa non è stata inutile. Perché ora a casa se ne tornano con quel vuoto che aspetta ancora di essere colmato, e che, fin quando non sarà riempito, non li farà dormire la notte.
Invece, Maria col suo pianto rimane. Non è entrata prima, entra ora. Continua a cercare. Pone domande: “”Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”…Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo?” (Gv 20, 13.15).
E la sua tenacia verrà premiata, perchè lei sarà la prima a vedere il Risorto che la chiamerà per nome: Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro” (Gv 20. 18).
Ah, le donne!!!! Sono quelle che restano. Non scappano. Le donne restano sempre. E vedono cose che nessun altro vede, perché vedono col cuore. Aveva ragione il filosofo Pascal: “Il cuore ha delle ragioni che la ragione non comprende”.
Tutto questo rappresenta una bella sfida per noi: gestire il vuoto con i segni deboli che la vita ci offre, non fermarci di fronte all’evidenza dei sepolcri vuoti.
Buona Pasqua!