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I culti e la devozione pastorale lungo le vie dei tratturi di Capitanata

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I CULTI E LA DEVOZIONE PASTORALE LUNGO LE VIE DEI TRATTURI DI CAPITANATA.

Recentemente ci siamo imbattuti in uno studio particolareggiato sui culti e le pratiche devozionali dei pastori, lungo le vie interessate dalla transumanza in Capitanata. Nello specifico Lidya Colangelo, Dottore di Ricerca in Filologia, Letteratura, Tradizione, nel suo articolo “Culti e devozioni in Capitanata lungo le vie dei tratturi”, pubblicato nel 2017, ci parla di un fenomeno unico e di notevole importanza per lo studio antropologico e culturale del nostro territorio.

La centralità di Foggia nel piano dei tratturi tra Abruzzo e Puglia è notevole non solo perché il Capoluogo di Provincia è collegato direttamente a L’Aquila attraverso il “Tratturo Magno” o “Regio”, il più lungo tra quelli italiani (244 km), ma anche per la diramazione di tutti gli altri grandi tratturi che, dall’Abruzzo, scendevano verso Puglia, Campania e Basilicata. La posizione di preminenza di Foggia nel Tavoliere favorì la decisione degli Aragonesi di sceglierla come sede della “Regia Dogana della mena delle pecore”, a metà del XV secolo (VILLANI 2014).

La Colangelo ci spiega che l’attenzione alle pratiche religiose che camminavano assieme ai pastori lungo i tratturi è dettata dal fatto che questa pastorizia di tipo mobile non era semplicemente un’attività lavorativa: la transumanza di tipo “orizzontale”, infatti, prevedeva lo spostamento delle greggi, dall’Abruzzo al Tavoliere, da settembre a maggio e riguardava l’intera vita del pastore. Assieme alle pecore viaggiavano i suoi affetti, la sua cultura, la sua spiritualità. Lungo i tratturi si incontravano fontanili, muretti a secco, cippi di pietra, stazzi, riposi, taverne, fortificazioni di vario tipo, cappelle e perfino palazzi.

Di fronte alle avversità del viaggio, alla durezza del lavoro, l’uomo sentiva forte la necessità di affidarsi al divino, al sacro che, così, diventava baluardo, protezione e legame con ciò che i pastori avevano lasciato a casa. Un ruolo principale all’interno della devozione tratturale è certamente rivestito dai culti di San Michele Arcangelo e di San Nicola di Mira.

È evidente quanto tali forme di cultualità siano strettamente connesse alle vie di pellegrinaggio ma anche, semplicemente, al sistema viario. Tratturi e bracci tratturali spesso coincidevano o rappresentavano deviazioni delle grandi arterie romane e, in modo particolare, delle vie consolari Appia e Traiana.

C’è, inoltre, da specificare che la leggenda agiografica dei santi venerati lungo i tratturi non è sempre considerata fondamentale per la religiosità popolare che, invece, nella maggior parte dei casi, trae linfa da reliquie ed eventi miracolosi locali. Per la Capitanata, i culti principali risultano essere quelli a favore di San Matteo Apostolo, della Madonna Incoronata e di San Michele Arcangelo.

I culti che i pastori portavano con sé rappresentavano anche una sorta di calendario sacrale. La Colangelo sottolinea questo fondamentale aspetto dicendo che la medievale “cristianizzazione del tempo” interessò anche la transumanza: ecco il motivo per il quale proprio alcune feste religiose indicavano i termini della permanenza dei pastori abruzzesi in Puglia: quelle in onore di San Matteo e San Michele, rispettivamente il 21 e il 29 settembre, e le varie feste mariane legate ai campi e alla pastorizia, tra aprile e maggio, fino al termine ultimo per la “risalita” segnato dalla festa di Sant’Antonio da Padova, il 13 giugno.

Il momento della festa religiosa diventava, quindi, per i pastori, una sorta di rito propiziatorio o di atto di ringraziamento. All’inizio della stagione di discesa, San Michele, l’Arcangelo che lotta e difende dal male, rappresentava un baluardo contro avversità, calamità e sventure; al termine della stagione lavorativa quando, finalmente, si poteva tornare a casa dai propri affetti, si manifestava il profondo ringraziamento alla Madonna che, in quanto Madre, aveva protetto i suoi figli.

Nonostante la quasi totale scomparsa, oggi, di forme

di transumanza orizzontale, è possibile riflettere su come tali pratiche devozionali e cultuali continuino a scandire l’anno dei paesi interessati: segno di quanto la vita del pastore fosse strettamente connessa a quella dell’agricoltore. Tra le due figure sussisteva una forma di mutuo soccorso e di reciproco scambio: mentre, infatti, il contadino offriva ospitalità al pastore, le greggi, pascolando nei suoi campi, concimavano il terreno, rendendolo fertile.

Il culto di San Matteo è particolarmente importante perché esso non è dipendente dalla leggenda agiografica del Santo ma dalla devozione popolare verso quella che si ritiene essere la reliquia di un suo dente giunto da Salerno nel XVI secolo per interesse, probabilmente, di un cardinale che era anche abate commendatario dell’Abbazia (VILLANI 2014). La devozione e la richiesta di protezione non è connessa, dunque, allo status di evangelista del Santo né, tantomeno, a quella di ex esattore delle tasse ma alla parte del corpo custodita nel santuario omonimo, situato a circa tre chilometri da San Marco in Lamis. Il dente di San Matteo, infatti, divenne strumento di miracolo per gli uomini che venivano morsi dagli animali o per gli animali stessi. La malattia o, addirittura, la morte di un animale da soma a causa di una epidemia o di un morso erano motivo di sciagura sia per i pastori sia per i contadini del posto.

Un percorso diverso caratterizzò le forme devozionali e cultuali a favore dell’Arcangelo Michele: le strade dei pastori, in questo caso, si incrociano fortemente con quelle dei pellegrini a tal punto da risultare complesso distinguere realmente attraverso chi siano state veicolate tali pratiche.

Ad esempio, le date del 29 settembre e dell’8 maggio hanno una risonanza fortissima nella vita del pastore: segnano, rispettivamente, il periodo “post-quem” e “ante-quem” dell’attività lavorativa in Puglia. L’8 maggio richiama, però, in modo molto suggestivo anche la festa dell’altro grande santo pugliese, San Nicola di Mira. Oltre alla solennità liturgica del 6 dicembre, giorno del “dies natalis” del Santo, tra il 7 e il 9 maggio a Bari si ricorda la traslazione delle reliquie da Mira, del 1087. Le date dei festeggiamenti dei due grandi Santi che caratterizzano, allo stesso tempo, le vie dei pellegrini e dei pastori, perciò, si fondono strenuamente, caratterizzando proprio il periodo di permanenza dei pastori abruzzesi nei più miti territori pugliesi.

Non a caso, perciò, forme cultuali a favore del Santo, ponte tra Oriente e Occidente, non permangono solo nei comuni del barese ma coesistono con le pratiche devozionali a favore dell’Arcangelo fino ai confini della Capitanata. È degno di nota anche il collegamento tra il culto di San Nicola e quello di San Domenico: nella maggior parte delle città in cui è presente il culto del Vescovo di Mira coesiste anche quello a favore di San Domenico di Guzman.

Inoltre, le date che risultano importanti per la pastorizia hanno anche fondamentali valenze astronomiche e simboliche. Tutto era connesso: quotidianità, lavoro, famiglia, gastronomia, folklore, tradizioni, mescolandosi in un tripudio di simboli e devozioni che rendevano l’universo pastorale delle nostre terre un qualcosa di riccamente unico.

Archivio di Giovanni BARRELLA.

Fonte: Lidya Colangelo, “Culti e devozioni in Capitanata lungo le vie dei tratturi”, in 37° Convegno Nazionale sulla Preistoria – Protostoria – Storia della Daunia, San Severo, 2017

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