26 febbraio 1266: un Re, un sogno, una città
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26 febbraio 1266: un Re, un sogno, una città
Era il 26 febbraio 1266. Su un campo polveroso vicino Benevento, un re che aveva osato sfidare il papato e i grandi regni d’Europa si preparava ad affrontare il suo destino.
Manfredi era alto, fiero, con i capelli biondi che risplendevano alla luce del sole, e non era solo un sovrano: era il figlio di Federico II, l’imperatore che aveva osato sfidare il mondo. Ma non era da meno. Aveva governato la Sicilia e il Sud con intelligenza e visione, e aveva fondato Manfredonia, il porto che avrebbe dovuto essere il cuore del suo regno, il simbolo di un futuro radioso.
Il sogno di Manfredi era quello di una terra che guardasse avanti senza dimenticare la propria identità. Una città che fosse il ponte tra Oriente e Occidente, tra passato e innovazione.
Ma il destino aveva deciso diversamente.
Quel giorno, Manfredi cavalcava tra i suoi uomini con il cuore pesante ma la mente lucida. Sapeva che la battaglia sarebbe stata difficile, che le truppe di Carlo d’Angiò erano numerose, meglio armate e sostenute dalla Chiesa. Ma non era solo la guerra a preoccuparlo: l’ombra del tradimento si allungava su di lui. Troppi nobili lo avevano abbandonato, troppi sussurri avevano già decretato la sua sconfitta prima ancora che il primo colpo di spada fosse sferrato.
Eppure, Manfredi non fuggì.
Quando la battaglia ebbe inizio, l’aria si riempì del clangore delle spade, del sibilo delle frecce, del fragore degli zoccoli dei cavalli. Manfredi guidava i suoi uomini, come aveva sempre fatto, in prima linea, senza paura.
Uno a uno, i suoi uomini caddero.
Il giovane re si ritrovò circondato. Il sole si abbassava all’orizzonte, il sangue macchiava la terra e l’aria sapeva di ferro e polvere. Quando la spada nemica lo colpì, Manfredi cadde, non come un vinto, ma come un uomo che aveva vissuto per un ideale e per la sua gente.
Il suo corpo non ebbe nemmeno il riposo di una sepoltura degna. Papa Clemente IV, che lo aveva scomunicato, ordinò che fosse gettato in una fossa anonima, negandogli perfino una lapide. Ma si può cancellare un nome dalla storia?
No, perché Manfredi vive ancora. Vive nei racconti, nelle leggende, nei versi di Dante che ne cantano la nobiltà. Vive nelle strade della città che porta il suo nome.
E ogni volta che a Manfredonia in vento soffia dal mare e accarezza le pietre antiche, sembra sussurrare il suo nome. Perché questa città non è solo un luogo: è il sogno di un re. E chi è nato qui porta con sé un pezzo di quel sogno.
Maria Teresa Valente